Silenzio è d'intorno
tace la Trebbia
silente è il giorno
avvolto di nebbia
Pascoli
M.Melchiorre@agora.stm.it Indice autoriLuci di stelle
gettano pianto
di un cuore lontano
come se non fosse mai esistito
se non nel nulla del ricordo.
Tempo nel tempo
dello spazio vivente
nel velo della ragnatela
di una calle
silenzio di pianto
nell'acqua di un canale
voce lontana
nelle sfere nebbiose del mattino
Pallida luce che rischiara
muore
nel buio della sera.
Batto alla cassa tutto il giorno,
nel mercato a via Tommasi 23,
e insegno il nichilismo agli scontrini.
Osservo l'umanità sfilarmi innanzi,
spalle curve, testa bassa,
e due pesanti sporte della spesa,
di tutto quello che comprerà in un mese.
Cristo Consumista,
da riccioli tremanti di angoscia vera,
mi guarda perso,
come chi verità ha cercato
fra muggiti industriali e conserva in tubetti.
Vorrei chiedergli la Salvezza,
e forse lo farebbe,
ma so solo dirgli:
"Mi scusi,
avrebbe mica 300 lire?"
Immensi grattacieli nudi
svettano tra l'umidità delle piante.
Piccole luci fioche.
Piccoli occhi finestre.
Piccoli pensieri notturni.
Chiuso a cercar il calore di un cuscino,
il colore di una tenda.
Labile gialla amabile opaca ombra
testimone di un lampione solitario,
getti sul mio muro un bellissimo
ricordo di sabbie dorate ormai lontane,
perse nei ricordi di un settembre
tiepido e cattivo.
Migliaia di macchine giacciono
nel parcheggio sottostante,
con il dorso d'argento,
umide di luna.
Il mio sguardo penetra
gli occhi della notte,
il ticchettio delle ore
perse nell'oblio
di una notte d'inverno.
Mi agito, mi giro e mi rigiro
nel ventre del mostro di
cemento,
mi agito.
I miei occhi penetrano lo
sguardo della notte vigile,
mentre il giovane corpo
di una donna prende mostra
in un viale affollato di
sognanti desideri di ragazzi.
Nascosti dietro unti occhiali
di paura,
di tremore non da freddo.
Sento tutto ciò brulicare così
forte dentro il mio stomaco,
una cascata di marciume dal
soffitto nel mio petto.
Vorrei invitarmi alla
festa della carne,
e arrivarci dal quinto piano
baciando il livido asfalto.
Ma la spada che porto con me
è troppo grande per essere
gettata senza danni ulteriori.
Rimango dunque qui.
In silenzio.
Chiuso nel feretro del mio corpo.
E le ali ,
le ho nascoste
nel mio cuore.
Voglio
camminare
su questa notte
fino al mattino
Voglio vedere
l'alba
sorgermi
dal petto
Finisce così
coi cuori vicini
e l'orgoglio
che volge
altrove
Torneremo
a danzare
in una notte
trapunta
di sortilegi
Ricordo di un tempo
futuro
Memoria di ciò che mai fu
e che pur giace
Torna ad assalire
di corvi brulicante uno stormo
cielo
speranza
cercando
Sua Maestà
si divincola e crolla
e rimira la giustizia
che si dipinge, sempre,
su un volto
di bambino